Commerci bellici: intervista a Sergio Rossi

Il 29 novembre voteremo anche sull’iniziativa federale “contro i commerci bellici”, lanciata dal Gruppo per una Svizzera senza Esercito e dai Giovani Verdi. Questa iniziativa, da noi sostenuta, vuole vietare che la Banca nazionale svizzera, le fondazioni e le casse pensioni finanzino la produzione di materiale bellico. In caso di approvazione, il Consiglio federale dovrebbe adoperarsi affinché anche le banche e le assicurazioni rispettino questo divieto. Ne parliamo con Sergio Rossi, Professore di macroeconomia ed economia monetaria all’Università di Friburgo.

Professor Rossi, perché sostiene questa iniziativa?

“Ci sono diversi motivi per sostenere questa iniziativa. Sul piano umanitario, anzitutto, è evidente che bisogna impedire di fomentare dei conflitti di ogni tipo, dunque che si deve vietare il commercio di materiale bellico, anche per evitare una parte importante delle migrazioni internazionali che alimentano i conflitti sociali senza risolverne il problema alla radice. Sul piano socio-economico, è altresì evidente che il commercio di materiale bellico nuoce allo sviluppo sostenibile della popolazione mondiale, in quanto i conflitti armati danneggiano la società e gli attori economici nei territori in conflitto. Sul piano finanziario, infine, le guerre aumentano la fragilità e l’instabilità delle istituzioni finanziarie, con delle conseguenze dannose per l’insieme dell’economia e della società.”

I contrari sostengono che questa iniziativa indebolirebbe l’AVS e le casse pensioni, causando rendite pensionistiche inferiori per i lavoratori e le lavoratrici. Che cosa pensa di questa affermazione?

“Si tratta di una affermazione falsa. In realtà, sarà vero il contrario, vale a dire che se il popolo svizzero accetterà questa iniziativa, sia l’AVS sia le casse pensioni potranno avere delle migliori prospettive per i loro assicurati, perché le banche saranno maggiormente interessate a finanziare delle attività economiche orientate all’interesse generale, per esempio nell’economia ambientale, dove si possono ottenere dei rendimenti superiori a quelli del commercio di materiale bellico. Ciò permetterà un aumento dell’occupazione e della crescita economica tale da consentire un aumento delle entrate nelle casse dell’AVS come pure un aumento dei rendimenti degli investimenti effettuati dalle casse pensioni. In questo modo si potrà anche risolvere il conflitto tra la popolazione attiva e i pensionati, che altrimenti sarà esacerbato dalle difficoltà finanziarie delle assicurazioni sociali.”

I favorevoli argomentano invece che questa iniziativa è un contributo concreto per rendere il mondo più pacifico. Davvero la Svizzera può fare la differenza?

“Ogni nazione può dare il proprio contributo per raggiungere questo obiettivo, che altrimenti si allontanerà sempre più nell’arco dei prossimi anni, a causa del neoliberismo e delle scelte di politica economica anche a seguito della pandemia da Covid-19. Se la Banca nazionale e le casse pensioni non potranno più finanziare il commercio di materiale bellico, allora anche la produzione di questo materiale sarà ridotta a seguito della carenza di finanziamenti. Questo avverrà a maggior ragione se le autorità monetarie non accetteranno più di concedere alle banche dei prestiti in cambio di titoli emessi dalle imprese che producono o vendono armi. Il contributo della Svizzera può fungere da apripista, nel senso che altre nazioni seguiranno in fretta questo cambio di rotta, quando gli attori finanziari si accorgeranno che così facendo i loro rendimenti saranno maggiori e la loro reputazione sarà migliore.”

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