Migliorare qualità ed equità della scuola

Questo periodo mi ha portata a riflettere sui nostri spazi in generale e sul nostro modo di usufruirne, di viverli. Dopo molte ricerche, letture e studi di nuove sperimentazioni negli spazi, ho lasciato fluire i pensieri, interrogandomi anche su cosa volesse dire «migliorare la qualità della scuola dell’obbligo».

La recente approvazione da parte del Gran Consiglio della riforma della scuola mi ha fatto soffermare sul tema, entrato nel mio campo di interesse da quando, ancora alla SUPSI, abbiamo avuto la possibilità di ripensare agli spazi della scuola in merito alla riforma «La scuola che verrà».

Quello scolastico è un sistema che va ripensato molto profondamente e un architetto può sicuramente fornire un contributo interessante alle nuove dinamiche che si potrebbero inserire.

Questo perché nel dover riprogrammare l’attività didattica, consapevoli del fatto che questa potrebbe avvenire in presenza e a distanza, potrebbe essere esercitata in momenti diversi e in modi diversi (prestando poi attenzione alle direttive sanitarie). Tutto questo dovrebbe indurre docenti e direttori a sperimentare un nuovo modo di vivere gli spazi, a trovare soluzioni che non vadano a sostituire la scuola tradizionale ma che la rendano più efficace e all’altezza dei nuovi tempi.

Questo perché la didattica ibrida, come sperimentata durante la pandemia, richiede una nuova struttura degli spazi interni. Questa potrebbe essere l’occasione per modificare anche il «setting» didattico. Immagino spazi dinamici dove il confine fra l’apprendimento formale (in un ambiente organizzato) e l’apprendimento informale (quello quotidiano) scompare. Immagino rotta la dinamica della lezione puramente frontale, a favore di un design dello spazio che sia esso stesso didattico, fonte di cooperazione e collaborazione. Un design che generi la costruzione del sapere dalla collaborazione delle menti. Immagino una rottura del layout dell’aula scolastica così come lo abbiamo sempre vissuto, generando invece spazi flessibili, fluidi, polifunzionali, adatti ai contesti diversi. Non solo aule chiuse su se stesse ma spazi fluidi che si innestano fra loro dando vita a nuovi modi di fare. Sto pensando a immagini note di gradinate dense di libri, aule sensoriali, spazi di studio pensate per invogliare a restare, con spazi dedicati intriganti e nuovi nella forma, nei colori. Corridoi che, laddove possibile, non si limitano a essere tristi non-luoghi di passaggio ma, per contro, che si riempiano di vita per attività collaterali. Pareti che diventano parte integrante della didattica, attrezzate per contenere lo studente e la cultura. Accattivanti. Insomma, credo bisognerebbe concepire spazi dinamici per fare del coinvolgimento l’attività dello studente, portandolo a riscoprire il valore dello «stare bene a scuola».

Certo, ciò richiede energie e risorse. Non tanto risorse economiche quanto risorse immateriali, come la creatività, la fiducia e la disponibilità a mettersi in gioco. Non solo degli insegnanti e dei direttori: anche da studenti e famiglie.

Questo è il momento di rilanciare la scuola. Sappiamo che moltissime nostre sedi scolastiche sono sovraffollate e che la densità elevata lascia poco spazio alla creatività. Non tutte le sedi però: iniziamo (qualche cosa è già stato fatto) da dove è possibile, cogliendo l’occasione di tramutare questa emergenza sanitaria in una grande opportunità e non in una calamità.

Mattea David, copresidente del Comitato Cantonale. Articolo apparso sul Corriere del Ticino l’8 ottobre

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